Di seguito riportiamo l’intervento portato da Laura Casale all’evento “Una tenda nella città”. Un recap del primo anno di Cammino Sinodale nella Arcidiocesi di Genova.


Insieme ad alcune socie e volontarie dell’associazione ho partecipato il 14 febbraio a un incontro organizzato e voluto dal CIF. Lo scopo era ragionare su quali sono i punti di contatto e di distanza tra le associazioni cattoliche e le realtà femministe… e se queste distanze siano troppo ampie per collaborare insieme. 

Ci siamo rese conto che molti dei valori sono in condivisione. La solidarietà, l’attenzione agli ultimi, diritti universali, la forte partecipazione di donne. Il confronto è stato molto sereno e ricco. 

È su come viene intesa questa partecipazione che abbiamo trovato criticità. La Chiesa secondo noi rimane ancora poco attenta alle problematiche delle donne. È un sistema, sappiamo, che tende a marginalizzare le donne o dove comunque trovano meno spazio nei ruoli decisionali. Spesso si sentono meno importanti o poco stimate e ascoltate, relegate in ruoli di cura. 

Questo tipo di marginalizzazione influisce anche sulla percezione che le donne hanno di loro stesse, ma potrebbe portarle anche ad allontanarsi. 

Le trasformazioni sociali e la possibilità di essere economicamente indipendenti hanno trasformato la donna e il suo ruolo pubblico e privato. Nonostante questo c’è ancora resistenza da parte di laici e religiosi a questo cambiamento, un aggrapparsi ai cosiddetti “ruoli naturali” della donna… Che però oggi possono e devono essere una scelta e non un’imposizione. 

Negli ultimi anni la Chiesa ha aperto al cambiamento, ma si può fare molto di più. Noi abbiamo proposto non solo di ripetere incontri come quello avuto con il Cif, ma di creare luoghi di formazione sul tema delle pari opportunità come simbolo della battaglia di tutti gli emarginati per l’equità; di inserire il tema dell’emancipazione femminile nei corsi di formazione politica della diocesi, nella formazione seminariale e degli insegnanti di religione; creare momenti di dialogo tra realtà e gruppi sociali diversi (uomini e donne, giovani e anziani, laici “lontani” come posso essere io e laici “vicini” alla Chiesa) per confrontarsi e camminare insieme. 

Abbiamo visto tante opportunità per collaborare, perché c’è un bisogno enorme di valori positivi in questo mondo e di spazi dove poterli vivere insieme.

La pandemia ha reso tutti più isolati prima fisicamente e ora umanamente, e questa può essere una piaga anche peggiore del virus, soprattutto tra i più giovani.

Proprio per questo, sulla base della mia esperienza personale vorrei portare ancora un’ultima proposta. Vengo da una famiglia cattolica e ho frequentato l’ambiente parrocchiale per metà della mia vita. Durante l’adolescenza ho attraversato una crisi di fede e la mancanza di risposte alle mie domande, insieme ad alcuni comportamenti poco rispettosi, mi ha spinto ad allontanarmi dalla Chiesa finché le domande hanno smesso di essere importanti. 

Ero “troppo giovane” per farmi domande sulla mia fede, mi è stato detto, dovevo “credere e basta”. Come mi è stato detto che in quanto giovane cattolica non dovevo neanche pormi il problema dell’educazione sessuale, perché dovevo praticare l’astinenza e via. Dopo tanti anni quella mancanza di rispetto per le mie domande ancora mi provoca tristezza: c’è bisogno di creare spazi di incontro dove i giovani siano protagonisti, dove possano esprimersi, parlare dei loro dubbi, delle loro emozioni, di quello che vivono e delle paure che li turbano senza temere un giudizio. Educare a una affettività sana, consapevole dei propri sentimenti e bisogni, e dell’altro, del rispetto verso se stessi e verso il prossimo, credo sia una potentissima forma di amore. 

Grazie.