Nel Consiglio regionale di ieri dodici volontarie di UDI hanno assistito alla discussione e hanno potuto vedere e sentire quanto sia profonda la malafede sulla Legge 78/194, sul ruolo e sui compiti dei consultori pubblici e più in generale sul compito delle istituzioni in termini di interruzione volontaria di gravidanza.

I consiglieri di minoranza hanno proposto un ordine del giorno proponendo una presa di posizione da parte di Regione Liguria in risposta all’emendamento inserito dal governo nella legge sul PNRR che aprirebbe le porte dei consultori alle associazioni antiabortiste. 

La mozione presentata dalle opposizioni avrebbe impegnato Regione Liguria su tre punti fondamentali:

  • non recepire la proposta di lasciare libero accesso ad associazioni antiabortiste nei consultori pubblici;
  • di farsi capofila nella Conferenza Stato-Regione per chiedere la non applicazione dell’emendamento approvato in Parlamento
  • di aumentare le risorse sui consultori per dare maggiori servizi non solo alle donne che vogliono interrompere una gravidanza, ma a chi invece la vuole portare a termine, ai neogenitori e a tutta l’utenza che si rivolge a questo spazio pubblico

La mozione è stata presentata ricordando anche la decisione recente della Francia di inserire il diritto all’aborto legale nella Costituzione e il voto dell’11 aprile del Parlamento europeo per aggiungerlo nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE.

Il voto del consiglio regionale invece è stato – come ci si poteva aspettare – contrario da parte della maggioranza, ma è stato molto interessante ascoltare le motivazioni di tale voto, a partire dall’Assessore alla Sanità Angelo Gratarola, che confonde l’impegno delle associazioni alla cura del bambino dopo la nascita con le attività che gli antiabortisti vorrebbero portare nei consultori. 

Gratarola non risponde neanche sul problema della privacy violata dell’utenza che si reca in consultorio – spesso anche per prestazioni che non hanno nulla a che fare con l’interruzione di gravidanza – o delle qualifiche delle persone che accederebbero ai consultori per portare avanti una battaglia ideologica sul corpo delle donne.

Dopo di lui, quasi tutti i consiglieri (e le consigliere) di maggioranza – forse anche per la presenza della nostra associazione, chissà – si sono sentiti in dovere di accampare scuse sull’impossibilità di dirsi a favore della mozione. In particolare, diversi hanno dimostrato di non sapere come funzionano i consultori pubblici nel nostro Paese. O, peggio, hanno scelto di raccontare volontariamente una realtà alternativa in cui le donne, se entrano in un consultorio, sono spinte o quasi obbligate ad abortire. 

Secondo la maggioranza, Regione Liguria da sola non è in grado di gestire i consultori pubblici nel rispetto della Legge 194

Tale, sarebbe lo stato dei consultori pubblici nel non supportare le donne (che sono in capo alla Regione, ricordiamo… dunque questa stessa maggioranza avrebbe permesso tale degrado? È stato il Presidente Toti, che fino a poco tempo fa aveva la delega alla sanità? È stato lo stesso Gratarola? Di chi sarebbe la responsabilità?) da richiedere l’intervento di associazioni di volontari non meglio definite, senza alcuna chiarezza sulle competenze o la formazione ricevuta, a “pareggiare i conti” e a offrire un’altra campana.

Questa è un’assoluta falsità. Il personale del consultorio è GIÀ preposto ad ascoltare, valutare e indirizzare le donne presso servizi in base alla loro storia, alle motivazioni e a ciò che le ha portate a chiedere l’interruzione di gravidanza. Ricordiamo che la mera difficoltà economica di per sé NON È una motivazione sufficiente per accedere all’IGV, ma che per essa si rimanda alla presa in carico dei servizi sociali. O si dovrebbe rimandare, dato lo stato attuale dei servizi sociali presso molti comuni.  

Non c’è nessuno, nei consultori pubblici, che spinge o convince le donne ad abortire se questa non è già una loro intenzione. Il personale che lavora dei consultori – medici, psicologi, infermieri – ha studiato molti anni, ha ottenuto le abilitazioni e vinto dei concorsi per essere lì a svolgere il proprio lavoro senza pregiudizi ideologici, si vuole sperare, di nessun orientamento di sorta. Deve essere accogliente e aiutare la donna nel suo percorso e mostrare tutte le opzioni a sua disposizione, non solo l’interruzione di gravidanza, può indirizzarla presso i servizi sociali o i centri antiviolenza, può spiegare come funziona l’adozione e il non riconoscimento del bambino alla nascita…

Questo è già previsto dalla legge 194 ed è già in capo ai consultori

Negare che ciò avvenga o sostenere che ci sia bisogno di associazioni che dichiarano come loro scopo fondativo far desistere le donne dall’interruzione volontaria di gravidanza non è offrire un servizio plurale o democratico, quasi che anche in consultorio serva la par condicio o le tifoserie pro/contro!

Soprattutto non c’è bisogno di persone che, abbiamo visto in altre regioni, si presentano come personale sanitario in camice bianco e tengono comportamenti mortificanti, colpevolizzanti, approfittando della fragilità della donna che ha bisogno di ricorrere all’IVG. O, peggio ancora, che propongono contributi che sarebbero già ridicoli per vivere in Liguria se stessimo parlando di una donna da sola, meno che mai per una futura madre che deve fare i conti per due. 

Le mancette di 350€ al mese per due anni, come quella proposta sul Secolo XIX domenica, sono un blando palliativo che non servono a nulla. Un figlio, secondo l’Osservatorio Nazionale Federconsumatori il primo anno di vita costa dai 7.065,07 € fino ad un massimo di 17.030,33 €. Questo senza tenere conto delle spese di sostentamento della madre. 

Non serve l’obolo per evitare gli aborti per problemi economici, servono risposte istituzionali 

E dopo il secondo anno di vita del figlio, in una Regione dove solo un bambino su tre ha diritto al posto all’asilo nido e dove l’occupazione femminile prevede l’accesso per lo più a basse retribuzioni, cosa succede a questo figlio? 

Disturba peraltro sentire consigliere donne che – in quanto donne – chiamano in causa i problemi che possono spingere altre a cercare un’interruzione di gravidanza, dichiarando (ingenuamente?) che queste associazioni possano risolvere tali problemi. La Regione si dovrebbe impegnare a creare posti di lavoro ben retribuiti anche e non solo per le donne, servizi fondamentali come asili nido e scuole dell’infanzia – che riescono a essere insufficienti malgrado la bassa natalità in Liguria – e si dovrebbe fare promotrice con il governo per tutele del lavoro delle donne, in modo che non subiscano mobbing o licenziamento quando decidono di vivere l’esperienza della maternità in quanto voluta e desiderata.

Ma prima di tutto bisogna interrompere questa narrazione dei consultori come macellerie dove, se non intervengono associazioni “idonee”, le donne sono spinte e obbligate ad abortire. E soprattutto, di proporre queste associazioni antiabortiste come enti che “offrono una scelta”, quando centinaia di testimonianze da tutta Italia raccontato i loro metodi manipolatori e violenti per spingere le donne a cambiare idea sull’IVG.

Tanto più che, ricordiamo, non si abortisce solo per motivi economici

Ci sono svariate ragioni, alcune ricordate anche oggi in aula, per cui le donne scelgono di abortire. Molte di queste ragioni non sono risolvibili nel breve intervallo a disposizione di una donna in Italia per accedere legalmente all’interruzione di gravidanza

Dal non essere pronti ad avere un figlio per svariati motivi alla violenza sessuale o domestica, dal dolore della scoperta di una condizione genetica del feto incompatibile con la vita a molte altre ancora, nessuna donna – in Liguria e in Italia – deve giustificarsi con estranei esterni al personale sanitario delle motivazioni della sua scelta di accedere all’IVG. 

Invitiamo quindi tutti i consiglieri di maggioranza regionale che oggi si sono espressi in modo vergognoso a visitare i consultori, a parlare con il personale e con l’utenza. 

E allo stesso tempo, UDI invita tutte le associazioni che sono sensibili sul tema della libertà di scelta della donna a unirsi a noi in questa battaglia per tutelare la 194 e il diritto delle donne che essa sancisce. Diverse volte la maggioranza ha detto di parlare a nome delle donne, in questa discussione. Il prossimo consiglio regionale è programmato per il 21 maggio 2024. Facciamo in modo di essere tante, rumorose e arrabbiate. Facciamo sentire cosa hanno da dire le donne.