ALLE DONNE CHE VIVONO NEL TERRITORIO DI BERGAMO

Alle donne delle istituzioni e delle associazioni, alle donne di partito e senza partito, di fede e senza fedi, alle donne che hanno il cuore multicolore e i piedi per terra, alle donne che hanno pensieri e storie diverse.

Alle donne tutte che si riconoscono nelle parole di pace e sanno praticare la pace.

Il territorio di Bergamo è diventato drammaticamente famoso nei due anni di pandemia e noi donne sappiamo come abbiamo fatto fronte all’emergenza perché di colpo tutti i lavori della CURA sono diventati centrali, indispensabili come sempre ma di colpo visibili per la sopravvivenza.

Bergamo è la provincia del volontariato, che sappiamo a maggioranza femminile e le pratiche di accoglienza dei profughi sono già al lavoro.

Dalle donne di Bergamo può partire una voce credibile per tutte, potente come la forza delle nostre vite.

Non escludiamo gli uomini ma non possiamo affidarci a loro: il disastro delle loro politiche è palese.

Non abbiamo fedeltà da difendere, di nessun tipo, solo proposte da fare, una pace da affermare. 

Quando parlano le armi le donne vengono cancellate.

Quando parlano le armi le donne vengono costrette a dimenticare la propria storia personale e collettiva e arruolate nello stato di necessità.

Viene cancellata la nostra storia, quella della specie umana che ha partorito, accudito, sostenuto, nutrito, cullato, accompagnato.

Viene cancellata la storia politica che ha chiesto diritti senza esclusioni, che ha mutato le relazioni umane senza dichiarare nemici, che ha saputo agire pratiche di pace anche in guerra.

Il pacifismo è donna non perché le donne sono pacifiche ma perché le donne sanno che cosa conviene alla vita e hanno pagato prezzi troppo alti alle politiche di morte.

Le donne sanno che le armi sono il problema e il nazionalismo non è la soluzione.

Perché in ogni conflitto armato ci siamo riconosciute sorelle al di là di ogni confine o trincea, dentro la violenza della distruzione di case e corpi.

Nessuna bandiera può sostituire quella della Pace e la solidarietà non è sinonimo di schieramento, parola bellica che invita a cancellare il pensiero.

Lavorare per la pace significa avere il coraggio del disarmo e inventare possibilità di dialogo che fermino ogni aggressione.

Nell’oscurità dei lager nazisti donne e uomini prigionieri diffidavano di chi era di nazionalità italiana perché erano sospettati di fascismo eppure lì, dentro l’orrore della storia, l’Italia ha trovato il proprio riscatto antifascista.

Non confondiamo popoli e governi. La minaccia, le bombe che cadono sulla tua casa, costringono a scelte difficili ma noi che viviamo nelle nostre comode case possiamo agire per la pace.

La liberazione dal nazifascismo è stata opera di donne e uomini che amavano la pace e si sono trovati costretti a prendere le armi.

La Resistenza fu armata ma non militare, il fondamento non era l’obbedienza agli ordini ma la scelta personale libera e responsabile, scelta che fecero anche molti militari.

Chi ha preso le armi per salvare l’Italia non esaltava la violenza e non faceva proprio il mito dell’eroe.

Fu un fenomeno collettivo soprattutto di ragazzi che fecero una scelta e di ragazze alle quali non era nemmeno riconosciuta la capacità di fare scelte, e invece le fecero.

Una generazione di giovani che trovò la propria guida nelle donne e negli uomini che avevano praticato la lunga resistenza antifascista del ventennio, uomini e le donne che avevano testimoniato l’antifascismo, denunciando totalitarismi e dittature, nelle carceri, nella clandestinità, nell’esilio, al confino e nella lotta impari per salvare la Repubblica spagnola abbandonata dalle democrazie liberali.

La democrazia italiana è nata nei lager, nelle carceri, al confino, in esilio, sulle montagne e nelle campagne dove un popolo disperso ha trovato le radici del proprio essere nella storia. Le donne hanno curato queste radici perché altre generazioni potessero godere nuove nascite.

Noi donne potremmo costringere ogni soldato a disertare, ogni generale a desistere, ogni governante a trattare.

Troviamo insieme il passo da fare per costringere gli eserciti a retrocedere.

Sosteniamo le donne russe e ucraine che hanno il coraggio di parlare contro la guerra rischiando in prima persona così come sappiamo aprire le nostre case per accogliere chi fugge dalla guerra senza fare distinzioni.

Noi possiamo lavorare perché l’Europa si dichiari continente neutrale cominciando da ogni singolo Stato.

Dall’Europa è partito il colonialismo e la ricchezza europea si è costruita con l’imperialismo.

In Europa nel Novecento si è costruito il progetto di un impero antisemita, razzista, sessista e classista, il progetto nazifascista che è stato credibile per la variegata politica europea fino al disastro della Seconda guerra mondiale perché costruito esplicitamente contro le istanze di giustizia sociale avanzate dal movimento operaio, contro le istanze di eguaglianza politica e liberazione sociale avanzate dal movimento delle donne, contro i principi di eguaglianza umana e autodeterminazione dei popoli avanzate dai movimento anticolonialisti e anti apartheid.

Oggi la guerra è, come sempre, lo strumento per la ridefinizione dei poteri e l’appropriazione delle risorse: per questo le donne, ancora considerate, risorsa, vengono zittite e arruolate in una rinnovata subalternità.

Se gli uomini sono ancora quelli della fionda, che volano su ali maligne, irriconoscibili nelle armature uniformi, capaci di distruggere e sfregiare una corolla o un angolo di silenzio, come hanno scritto con straordinaria consapevolezza i poeti, noi non siamo più quelle che chinano il capo, che s’arrabattano per salvare il salvabile, che si occupano solo di piangere i morti e riparare i viventi.

Noi donne rivendichiamo la pace, vogliamo imporre ogni pratica di risoluzione dei conflitti, ogni mediazione che salvi vite e territori.

Abbiamo assistito impotenti e operose alla nostra disfatta troppe volte.

Adesso è tempo di dire BASTA e cominciare un’altra storia, quella in cui la parola guerra diventa termine arcaico di un linguaggio caduto in disuso.

di Rosangela Pesenti, dal sito di UDI nazionale.